Comunicare la diagnosi al resto della classe?

Spesso accade che i genitori di un bambino con DSA preferiscano mantenere "segreta" al resto della classe la problematica del figlio per timore che questo possa essere considerato "diverso" dai compagni e stigmatizzato. Tuttavia, non sono rari i casi in cui tale richiesta (tra l'altro pienamente legittima), diventi spesso ulteriore motivo di disagio per il bambino. Infatti se il bambino usufruisce di quanto previsto dal proprio PDP, è assai probabile che le misure prese non restino inosservate dal resto della classe.

I bambini che osservano quotidianamente una didattica individualizzata e personalizzata con il compagno con DSA, in assenza di chiare spiegazioni del perchè questo accade, si riversano con modalità talvolta dirette e aggressive proprio nei confronti del loro compagno e delle insegnanti, reclamando in classe "una giustizia uguale per tutti". In questo modo quindi, il diritto alla riservatezza chiesto dalla famiglia può produrre in classe proprio l'effetto temuto.

Tutto ciò incide negativamente e quotidianamente sul clima della classe, in quanto i compagni rivendicano ripetutamente l'assenza di “favoritismi” da parte dei propri insegnanti.
Logicamente bisogna valutare caso per caso se sia opportuno o meno avvalersi del diritto di riservatezza che può essere preso in considerazione nel caso in cui il bambino manifesti difficoltà lievi per le quali non vi è necessità di utilizzare strumenti compensativi o misure dispensative, tuttavia appare meno indicato in situazioni più gravi, nelle quali il bambino necessita di tali strumenti. Immaginiamo un bambino che in classe è dispensato dalle interrogazioni orali in favore delle sole verifiche scritte, oppure un bambino che può usufruire di più tempo per lo svolgimento delle verifiche, è molto improbabile che i suoi compagni non si accorgano di questo "trattamento di favore", e considerandolo tale, inizino a denigrare il bambino con DSA e lamentarsi con le insegnanti. Se invece gli altri bambini sono adeguatamente informati sulle difficoltà del compagno, spiegando loro che non si tratta di facilitazioni e che anzi, il loro compagno spesso deve fare molta più fatica, è probabile che accettino più serenamente il compagno senza gelosie e non considerando più l'uso di questi strumenti come un favoritismo.

Come gli insegnanti possono favorire l'integrazione?

Anzitutto, una volta che i genitori hanno dato il consenso a che l'insegnante possa comunicare la diagnosi al resto della classe, è bene che questo passi un pò di tempo a "spiegare" in cosa consistono le difficoltà di un alunno con DSA (senza necessariamente dover far riferimento al singolo alunno interessato), per far questo è possibile visionare filmati, testimonianze, leggere brevi biografie di personaggi illusti con tale disturbo, il tutto facendo passare il messaggio che un DSA non è diverso, in quanto ha semplicemente un modo differente di apprendere, ma che anche questo riguarda bene o male tutti gli studenti, anche chi non ne è affetto. Ci sono infatti studenti più portati per alcune materie, altri che apprendono meglio ascoltando piuttosto che leggendo etc.

E' utile poi un lavoro basato sull'inclusione, che riguardi non il singolo alunno, ma l'intero gruppo classe. Lavoriamo con loro sulla "normalità" delle loro molteplici caratteristiche proprie di ogni bambino, sulla pluralità delle forme di intelligenza, di stili cognitivi con cui si affrontano i problemi, tutti fattori che influenzano le nostre prestazioni e che sono indicatori importanti dei nostri punti di forza e di debolezza. Anche l'apprendimento cooperativo risulta molto utile, nel quale ogni bambino ha il compito per lui più appropriato: 
- il bambino che ha una buona lettura ma è introverso leggerà nel piccolo gruppo di compagni, 
- il bambino estroverso esporrà l'argomento di lavoro, 
- il bambino con difficoltà di lettura costruirà una mappa concettuale, e così via. 

In questo modo, l'insegnante valorizza il ruolo di ciascun compagno, favorendo l'integrazione e aiutando la classe a capire le potenzialità anche del bambino con DSA. Tutto questo annulla le discriminazioni, favorisce la condivisione delle competenze e il riconoscimento delle proprie e altrui potenzialità, stimolando la capacità di mettersi alla prova e garantendo il benessere di tutti.

Criticità

Quanto fin ora detto è la situazione ideale, tuttavia come accade spesso, tutto ciò non è possibile o risulta molto difficile. Le insegnanti spesso si limitano all'utilizzo delle misure compensative-dispensative (per altro spesso non adeguate perchè non centrate sulle reali difficoltà del bambino), continuando la didattica come sempre, lezioni frontali, appunti, lettura e quant'altro. In una situazione come questa il bambino con DSA non viene favorito, ma neanche trattato come gli altri, facendogli spesso sperimentare un forte senso di inadeguatezza e incompetenza. 

Tuttavia molte ricerche nazionali e internazionali hanno dimostrato come la didattica utilizzata con un DSA non solo lo mette in condizioni ottimali per apprendere, ma che se estesa a tutta la classe, anche gli altri bambini ottengono risultati migliori e più duraturi. Detto in parole povere, la didattica "classica" non va bene per un bambino con DSA (e in alcuni casi neanche per gli altri) mentre la didattica adeguata ad un bambino con DSA è utile a tutti!

Per tale motivo le scuole dovrebbero proporre corsi di aggiornamento sulla didattica inclusiva per i loro insegnanti, o in caso di impossibilità, si potrebbe pensare di mettersi in contatto con lo specialista che segue il ragazzo in questione per consigliare strategie didattiche efficaci e metodi di lavoro più stimolanti, dando per assodato che queste stragie non dovrebbero essere utilizzate solo con il ragazzo DSA ma con tutta la classe!